Scritto da 12:26 pm Pisa SC

Quattro lettere: Pisa. Sei lettere: grazie

Inizio con la premessa in questa ultima rubrica del campionato, così decidete subito se leggerla o meno: non è un pezzo obiettivo. Non è neanche un articolo, è più un agglomerato di pensieri sparsi e disordinati.

di Chicca G.

Manca la neutralità, è stata fagocitata dai sentimenti; mi scuso, quindi, ma non ho potuto farne a meno.

Può darsi anche il titolo non sia così appropriato. «I Malavoglia» vi sarebbe garbato di più? A me no.

L’ho scritto fin dall’inizio: sono tifosa, e quando un tifoso parla del Pisa, non può essere del tutto imparziale e lucido. Tifa la propria squadra, senza se e senza ma.

“Ci sedemmo dalla parte del torto visto che tutti gli altri posti erano occupati”. Con questo suo aforisma, a metà tra paradosso e verità, ironia e provocazione, Bertolt Brecht ci presenta forse un biglietto da visita ancora valido, in grado di identificare, nascondere, alludere, rivelare. Dalla parte del torto, certo. Come tutti quelli che non hanno timore a collocarsi nella schiera tutto sommato non troppo numerosa, o, almeno, non abbastanza, dei sognatori.

Mi siedo anch’io da questa parte e scrivo a beneficio di chi finisce sempre per invaghirsi di qualcosa o qualcuno che nella vita colleziona più sconfitte che trofei, ma che ha dentro qualcosa di speciale.

Il Pisa nella sua lunga storia non ha vinto molto: questo però non ha mai scoraggiato i pisani, sempre numerosi e passionali, poiché nella propria squadra hanno sempre visto oltre i successi.

Ci hanno visto grandi e piccole storie di calcio, ci hanno visto grinta là dove mancava la classe, ci hanno visto l’identità di Pisa rappresentata in giro per l’Italia, ci hanno visto l’anima che l’ha sempre contraddistinto.

Per una forma di malinconica esattezza, venerdì sera, per l’ultimo appuntamento della stagione, più che una partita è stato un calvario. Cadenza fissa degli ultimi due mesi, come una tassa da pagare, perché gira che ti rigira il Pisa è così: bello, brutto, folle, fragile, capace di farti esaltare e rodere il fegato in pochissimo tempo.

Alle imprese mirabolanti seguono spesso degli inspiegabili tonfi, a volte clamorosi, come questo finale di torneo.

Però se mi telefonasse il Presidente del Frosinone o del Genoa e mi proponesse uno scambio «vi diamo la squadra e ci prendiamo D’Angelo», rifiuterei dicendo che il cantore è sempre superiore al guerriero o alla battaglia. Senza Omero non sapremmo nulla di Achille ed Ettore.

Ti voglio bene mister, e in fondo non è scriverti in prima persona, perché quello che ho sentito venerdì l’hanno sentito i tifosi neroazzurri.

Uso il tu, contravvengo a ogni minima e doverosa regola giornalistica, perché lo hai fatto anche te con ogni tifoso pisano e lo hai fatto davanti a tutti. E non è facile dare del tu a tutte quelle persone allo stadio e a tante di più che ti guardavano in televisione.

Non è facile commuoversi, per questo ti voglio bene. Perché ti sei messo il cuore a nudo ed è da pisani. Perché è da grandi non aver paura dei sentimenti, e, se sono i tuoi, i nostri, è da grandissimi.

La vita è anche perdere, sbagliare, cadere.

“Non è forte chi non cade, ma chi, cadendo, ha la forza di rialzarsi”, ci ha insegnato Jim Morrison. Ed è più importante rialzarsi che non cadere. È più importante vivere che vincere.

Le vittorie vanno meritate; le sconfitte accettate: allora «zitti e buoni», prendendo a prestito il titolo del brano dei Måneskin.

Adesso che ad agosto si riparte – magari sarà una Serie B spettacolare, combattuta, appassionante; in fondo è il bello di quando finisce un campionato: si può sognare il prossimo, almeno d’estate vincono tutti – quella fiducia che abbiamo per D’Angelo dovrà restare immutata.

I passi falsi che abbiamo sin qui avuto hanno detto molto. Soprattutto a chi ci guida. Che – e statene certi – non sta pensando ai traguardi passati, ma a come poterne raggiungerne altri. Imparando proprio dagli errori. Ça va sans dire.

Last modified: Maggio 21, 2023
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