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Il Vortice della Prospettiva Totale e la inconsapevolezza delle dimensioni

ITALIA (19 aprile 2024) — “In un angolo del Braccio Orientale della Galassia si trova il grande pianeta di foreste Oglaroon, la cui popolazione “intelligente” vive tutta quanta su un unico noce abbastanza piccolo e affollato. […] Gli unici Oglarooniani che lasciano il loro albero sono quelli che vengono sbattuti fuori per aver commesso il crimine nefando di chiedersi se qualche altro albero potesse ospitare la vita.”

Douglas Adams, Ristorante al termine dell’Universo

di Leonardo Miraglia

Lo spazio ci circonda, ci avvolge e ci compenetra, data la quantità di aria che incameriamo costantemente e che riempie sulla Terra tutti gli spazi vuoti.

Lo spazio è talmente vasto che ad alzare lo sguardo c’è da perdere la testa.

Volgere gli occhi alle stelle, e cercare di capire la distanza che ci separa da queste, può essere un’esperienza sconvolgente: rendersi improvvisamente conto di quanto siamo piccoli, di quanto poco spazio occupiamo e di quanto spazio ci divide da tutto quello che ci circonda, specialmente da quello che sta al di fuori della Terra.

Riconoscere le proprie dimensioni nello spazio è una presa di coscienza molto forte e capire quanto siamo piccoli ci da modo di inserirsi con cognizione di causa in una scala dimensionale che non ha limiti né verso l’alto e tanto meno verso il basso, dal grande grandissimo, dalle distanze infinite per l’uomo al piccolo, piccolissimo che sfocia nell’universo quantico.

Eppure, c’è chi diceva che sull’unghia di una mano ci può stare un intero universo, il che ci riporta alla scala dimensionale che seppur scendendo verso l’ultra piccolo ricrea stati spaziali grandi quanto universi.

Quindi la scala si rovescia e al momento che tocca il minuscolo rileva unità di misura grandissime e nel piccolissimo sta l’immensità dell’universo.

Scoprirsi minuscoli e giganteschi al contempo non aiuta a definire le proprie dimensioni nello spazio anzi crea disappunto e confusione.

Ma lo spazio è così, sia che lo si associ al minuscolo o lo si lasci espandersi all’infinito.

Le paure legate allo spazio sono una il contrario dell’altra, agorafobia e claustrofobia, eppure sono entrambi legate al nostro rapporto con lo spazio; possibile che si possa essere al contempo agorafobici e claustrofobici?

Forse sì e probabilmente questa è una condizione standard legata a tutte le persone che non si accorgono delle differenze fra grande e piccolo e che quindi non si soffermano sul rapporto dimensionale che loro hanno con spazi aperti o ristretti e che di conseguenza potrebbero non essere coscienti delle loro fobie.

L’inconsapevolezza è l’arma migliore per evitare di perdere sanità mentale.

Restare inconsapevolmente confinati nelle quattro mura di casa, sufficientemente ampie ma anche discretamente ristrette, ci mette al sicuro dal confronto con l’infinitamente grande e l’infinitamente piccolo e così ci preserva da possibili forme di follia.

Ma basta affacciarsi ad una finestra quando fuori è buio per adocchiare qualche puntino luminoso nello spazio, come basta abbassare lo sguardo ed osservare una formica muoversi per cadere nella trappola della dimensione spaziale.

“L’Universo, com’è già stato notato in altre sedi, è un posto maledettamente grande, cosa che, per amore di un’esistenza quieta, la maggior parte della gente finge di non sapere”, questo è ciò che scrive Douglas Adams in Ristorante al termine dell’Universo.

Sempre Adams descrive una tortura drammatica e terminale come quella a cui si può essere sottoposti entrando nel Vortice di Prospettiva Totale, “Quando si viene messi nel Vortice si ha per un attimo la visione globale di tutta l’infinita, inimmaginabile immensità della creazione, e in mezzo a questa immensità si ha modo di distinguere un segnale minimo, minuscolo, microscopico, che dice Tu sei qui.”

Le proporzioni che si scoprono dentro al Vortice di Prospettiva Totale sono incommensurabili ed incalcolabili e perciò la tortura ha effetto.

Sarebbe lo stesso se invece che l’infinitamente grande venisse mostrato l’infinitamente piccolo che in realtà è altrettanto infinitamente grande e funziona poiché si invertono semplicemente il punto di partenza e quello di arrivo, ma il percorso è lo stesso.

In un modo molto più drammatico Lovecraft descrive la stessa cosa di Douglas Adams, ossia: l’accorgersi di quanto siamo minuscoli nei confronti dell’universo che ci circonda è come essere inseriti nella parte più stretta di un imbuto ed essere costretti ad alzare lo sguardo che a mano a mano che si innalza scopre distanze sempre più grandi fino all’immensamente grande che si intravede al di là dell’imbuto.

Lo spazio non è nostro alleato, noi siamo confinati su un pianeta minuscolo alla periferia di una galassia altrettanto minuscola che è a sua volta periferica a riguardo delle altre galassie e del complesso universale.

Giova fare esplorazioni spaziali o, per il nostro bene, sarebbe meglio stare con i piedi ben saldi sul terreno del nostro mondo e limitarsi a gestire lo spazio che ci circonda da vicino e che per le nostre capacità di intendere risulta essere già sufficientemente grande per i nostri parametri?

Attenzione, però, a non rintanarsi in spazi troppo angusti perché altrimenti si rischierebbe di soffrire della paura opposta.

Last modified: Aprile 19, 2024
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