L’uomo e la macchina, binomio da sempre al centro dell’attenzione di tutti, grandi e piccoli, eruditi o meno, addetti ai lavori o profani.
L’uomo che costruisce la macchina e la macchina che risponde ai voleri dell’uomo.
La macchina che accontenta l’uomo e l’uomo che si lascia servire dalla macchina.
di Leonardo Miraglia
Ma è tutto lì?
Conoscete le tre leggi della robotica descritte da Asimov?
Le leggi che sostanzialmente impediscono alla macchina, il robot in questo caso, di fare del male all’uomo?
Benissimo, queste leggi sono state dettate dall’uomo e perché?
Perché l’uomo, il creatore della macchina ad un certo punto sente la necessità di dettare delle leggi ad uso e consumo della macchina, precisamente per evitare che la macchina stessa si trasformi in una temibile arma contro di lui?
Eppure ciò non dovrebbe sussistere, dato che se l’uomo crea la macchina, se l’uomo la realizza, l’assemblea materialmente, e le impone il soffio vitale, alla base di ciò dovrebbe sussistere, in modo automatico, il dovere insito nel soffio vitale stesso di non danneggiare mai in nessun caso il creatore.
Eppure ciò non succede e l’uomo diventa timoroso di fronte alla macchina, è roso da dubbi nei confronti della fedeltà della macchina e della sua cieca obbedienza nei suoi confronti.
Allora l’uomo stesso inventa i robot cattivi, quelli che sfuggono alle leggi della robotica e che in autonomia differiscono dalla massa delle macchine.
Pensate ai replicanti di Blade Runner, che disertano dal loro dovere di servire le necessità umane e si precipitano alla ricerca del loro creatore per porgli la domanda regina: perché te puoi decidere quanto tempo abbiamo da vivere?
I replicanti, automi somiglianti in tutto e per tutto ad esseri umani, ma con capacità fisiche e mentali superiori alla media umana, scoprono di essere a termine e questo li rende furibondi nei confronti del loro creatore poiché ciò non gli permette di essere completamente indipendenti e li imprigiona in una scelta definitiva a loro preclusa; ciò non solo li fa infuriare ma li mette sulle orme del creatore con cattiveria e brutalità, sentimenti che non avrebbero dovuto far parte del loro bagaglio emozionale, ma che la scoperta della loro vita a termine innesca.
Ma questi sentimenti non sono gli stessi che proviamo noi quando scopriamo di essere destinati a morire?
La rabbia che ci avvolge nel momento della scoperta che la nostra vita sta all’interno di una clessidra che non verrà rovesciata non è la stessa di quella dei replicanti?
Allora perché temerli, perché sentirsi in bisogno di creare leggi che ci proteggano dalla possibilità che le macchine che noi creiamo si ribellino e usino contro di noi le loro capacità?
Noi, nei loro confronti, siamo dei e loro sono la creazione che noi abbiamo fatto con fango ed acqua e perciò devono necessariamente rimanere in silenzio e accondiscendere con tutto loro stessi ai nostri voleri.
Oppure no?
Last modified: Marzo 18, 2024