Scritto da 5:07 pm Pisa SC

Direzione arbitraria più che arbitrale, ma con i piedi ciao ciao

PISA – Dopo il successo contro il Perugia in rimonta la nostra Chicca torna con il suo “Pallone di-Pendente” facendoci rivivere le sue emozioni di venerdì sera all’Arena.

I tifosi di calcio sono gente strana. Quelli del Pisa sono ancora più strani. Perché sono rimasti fedeli a se stessi e, al tempo medesimo, a ciò che era il tifo. A volte contro, ma quasi sempre pro. Come se l’avversario fosse un incidente di percorso sul cammino del sostegno alla propria squadra. Quindi gente che chiede ai giocatori innanzitutto dedizione alla causa e, quando possibile, vincere anche. Forse per questo – o, meglio, proprio per questo – al Pisa serviva un allenatore come Luca D’Angelo. Un professionista serio, semplice ma scientifico dallo strato più basico, uno che lavora, uno che bada al sodo, uno che parla poco, ma è diretto, uno che mette tutto nel progetto, uno che vive per una causa, come è quella del Pisa Sporting Club. Poi c’è quella storia della tuta, cioè la cosa che torna sempre quando si parla del mister. La tuta come abito da lavoro e da telecamera, perché non c’è differenza, indossata come una divisa. Non appartiene a quella categoria di allenatori-filosofi che hanno ingentilito la Serie B ma è diventato, presumibilmente suo malgrado, un personaggio. Nuovo, nonostante i suoi cinquantuno anni e Gesù Bambino lo sa, quanto lo amiamo. Ci sono squadre dove si può transitare, dimenticare ed essere dimenticati. Non il Pisa che lascia un segno indelebile e D’Angelo lo ha capito subito. Proprio la scorsa settimana è stato festeggiato e omaggiato, su giornali, siti e social, per le centottantasette panchine (centosessantacinque gare ufficiali in Campionato, dodici in Coppa Italia, dieci nei playoff), secondo allenatore all-time per presenze nella storia del Pisa Calcio e per il terzo posto raggiunto relativo alla Panchina D’Argento per la Serie B 2021-2022.

La panchina è un luogo di spettacolo. Se si pensa ai film Manhattan di Woody Allen, La La Land di Damien Chazelle, Forrest Gump di Robert Zemeckis, Caos Calmo di Nanni Moretti si ricorda che hanno come minimo comune denominatore una panchina. Un piccolo palcoscenico. A bordo campo, è il luogo degli sfoghi, delle attese, delle gioie e delle delusioni; gli appassionati di questo sport lo sanno. L’ha imparato bene anche D’Angelo sebbene non stia mai seduto. E seduto non è stato nessuno dei presenti nell’anticipo serale Pisa-Perugia che hanno assistito, a proposito di spettacolo e palcoscenico, ad un messa in scena imbarazzante dal titolo – verrebbe da dire – Black Friday, talmente surreale da sembrare uno scherzo, ad opera del fischietto di turno. Ci sono arbitri infatti che sbagliano e ci sono arbitri che condizionano: il giudice di gara ha condizionato sbagliando. Arnaldo o Alberto? Santoro è il cognome. Arnaldo, ricordando i tempi delle follie radiofoniche e televisive di Renzo Arbore, era la spalla perfetta, il re del non sense, dei dialoghi improbabili, killer efficace degli schemi usuali della comicità. Alberto, l’arbitro della partita? É apparso invasato dalla mania di protagonismo con scelte determinanti a senso unico, clamorose e sconcertanti, appunto improbabili. Insomma, un killer fallimentare nel tentativo di uccidere una partita che si annunciava gustosa e aperta, che ha fatto cilecca. Santoro è apparso uso allo specchiarsi in cerca di quanto sono bello, irreprensibile, infallibile, perché alla fine il suo cipiglio ha rasentato la comicità, figlia però dell’inadeguatezza e non del genio creativo e comico del suo omonimo Arnaldo. Ora il Pisa, per fortuna ma non solo – anzi – può celebrare la vittoria (2-1), la grande prova, il non arrendersi, le prodezze individuali, il mettersi al servizio del gruppo, ma non va dimenticato che tanta insipienza dell’Alberto ha rischiato di trasformare una gara attesa per il confronto suggestivo tra qualità tecniche e tattiche in un brutto spettacolo di nervosismo determinato da decisioni discutibili e torti subiti.

L’adagio per cui “devi essere più forte dell’arbitro” non può essere il perenne ritornello con cui si giustificano sviste, interpretazioni errate e decisioni fantascientifiche. Nove ammoniti, due espulsi. In questi numeri c’è il senso, anche se un senso non ce l’ha direbbe Vasco Rossi, della direzione, più arbitraria che arbitrale, appunto. E quel cartellino giallo sventolato al mister ha fatto venire giù l’Arena; del resto, sta scritto qualche riga fa, «questo amore non si tocca».

Last modified: Febbraio 25, 2023
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