Written by 11:57 am Pisa SC

Pessimismo della ragione o ottimismo della volontà?

PISA – La sconfitta di Terni ha lasciato il segno, c’è un po’ di amarezza nel tifo nerazzurro per come la squadra si è espressa al Liberati, ma allo stesso tempo tanta voglia di credere ancora nell’obiettivo e nel tifare la propria squadra del cuore come ci dice nel suo racconto settimanale di “Pallone di-pendente” la nostra Chicca.

A cavallo del 1900 visse un giovane intelligente che fondò un giornale e un partito, scrisse molti libri e tante lettere, venne arrestato e a causa di quella feroce prigionia morì che aveva meno di cinquat’anni. Tra le tante cose che scrisse (dai Quaderni del Carcere 1929-39), c’è un concetto che non bisognerebbe dimenticare: l’ottimismo della volontà contrapposto al pessimismo della ragione. Il signore si chiamava Antonio Gramsci e considerato il periodo nefasto in cui elaborò quell’idea, col fascismo che imperava e dispiegava la sua forza autoritaria e antidemocratica, supportato anche da un consenso popolare impressionante, non è peregrino pensare che Gramsci fosse più pessimista che ottimista. Tuttavia non abbandonò la speranza, basata peraltro sulla fiducia nelle masse popolari che, prima o poi, avrebbero smentito un destino che sembrava ineluttabile. Alla fine vinse il suo ottimismo, anche se Gramsci non riuscì a vedere la caduta del fascismo, la conclusione della guerra mondiale in cui quel regime aveva trascinato l’Italia e la nascita della democrazia. Non del comunismo però, almeno in Italia, ma è un’altra storia. La storia che invece interessa raccontare non è assolutamente paragonabile a quella immane tragedia, tuttavia non è neanche una «farsa» come Karl Marx definiva «la storia». La proposta di Gramsci condensata in quella celebre frase, più che un aforisma, è il tentativo di connettere in modo nuovo ragione e volontà; pur dinanzi alle immense difficoltà che si presentano quando si tratta di analizzare i problemi e trovare una soluzione razionale, la volontà non deve cedere il passo alla rassegnazione o smettere di lottare condannandoci al pessimismo. In sostanza il motto è una sorta di invito a intravedere soluzioni anche quando non sembrano esserci almeno a breve.

Domenica di fronte alla sconfitta del Pisa (2-1) contro la Ternana in molti (troppi!) hanno espresso il pessimismo della ragione che a pensarci è come la giacca blu: va bene su tutto e per tutto. Figuriamoci se non calza a pennello per il gioco espresso in Umbria dal Pisa! Pur condividendone lo scetticismo, credo in questo momento si debba avere l’ottimismo dell’intelligenza oltre a quello della volontà risolvendo così il dilemma gramsciano con questa mirabile sintesi. È vero, non tutto sta filando liscio come in passato: alcuni giocatori si infortunano (Tourè) e altri tornano ad essere umani (Beruatto). La squadra incespica, nelle ultime partite non è stata il Brasile, ha rimediato una sonora sconfitta e la strada è impervia. Mantenere la barra dritta quando la nave è in balia della tempesta è l’atto più difficile. Forse anche il più rivoluzionario. Perché hai voglia a fare proclami, se le falle imbarcano acqua probabilmente abbandonare è la prima tentazione. La più umana, volendo. Non la più pisana però; questione di attaccamento, identità, orgoglio. Quando siamo in piena burrasca, la voglia di stringersi deve essere più di un po’. Alla squadra, al mister e fra noi. A questo punto, a cinque giornate dalla fine del campionato, come avrebbe detto Pietro Nenni, “ciascuno faccia quel che deve. E accada quel che può”.

Last modified: Aprile 19, 2023
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