Scritto da 8:30 am Cultura, Pisa

Lovecraft, l’universo in un imbuto

Il 15 marzo del 1937 se ne andava, solo e dimenticato, Howard Phillips Lovecraft, padre della letteratura horror e sci-fi moderna.

Lovecraft era una mente notevole, ma essendo offuscato dalla paura dell’ignoto cosmico risultava anche un essere indeciso e fragile.

di Leonardo Miraglia

Negli anni della sua esistenza scrisse molti racconti spesso ambientati in un New England fantastico, popolato di esseri altri dotati di poteri sovrumani e scambiati per dei dalla razza umana che non era cosciente di essere loro sottomessa.

Secondo la visione di Lovecraft, che rispecchiava la sua indecisione e fragilità, l’uomo, nella catena biologica, occupa un posto lontano dal podio subito a ridosso delle zanzare ed è in realtà il risultato di un esperimento errato da parte degli Old Ones che sono le entità scambiate per dei dagli esseri umani.

Ma gli Old Ones sono soltanto una razza delle tante che popolano lo spazio profondo, i veri dei sono altri: Azathoth, Nyarlathotep, Shub Niggurath, Yog Sothoth, il grande Cthulhu. Questi sono veri esseri soprannaturali con cui l’uomo si deve confrontare e contro i quali deve scontrarsi, sapendo in partenza di essere inevitabilmente perdente; dei che al solo intravederli si rischia la follia, divinità abominevoli che vogliono stravolgere il mondo e popolarlo di entità al loro esclusivo servizio come i Deep Ones, che hanno ascendenze umane, ma che si sono trasformati in esseri anfibi al servizio degli dei.

La cosmogonia lovecraftiana ruota intorno alla suo pensiero filosofico: l’uomo in confronto allo spazio sconfinato è minuscolo e vive intrappolato in fondo ad un imbuto che gli offre costantemente visioni troppo grandi e profonde perché possa, egli già piccolo in confronto al pianeta Terra, trovare risposte senzienti. Le visioni che l’uomo subisce, come guardando in un telescopio al rovescio, sono orrende e prepotentemente spaventose e inducono l’uomo a misurare vastità profonde ed oscure che lo circondano e che per questo lo inducono alla pazzia. Questo è ciò che traspare dai racconti e dalle numerose lettere scritte da Lovecraft, un perfetto materialismo meccanicistico negativo avviluppato ad un profondo senso di impotenza e paura dell’indefinito, dell’ignoto.

I protagonisti dei suoi racconti sono perdenti, inevitabilmente perdenti che al massimo possono riuscire a non perdere il senno come invece spesso accade loro. 

L’uomo lovecraftiano ha una caratteristica che lo rende molto fragile: la curiosità.

In tanti suoi racconti si nota chiaramente quanto i protagonisti si addentrino, a causa della loro curiosità, in zone d’ombra che non sarebbero di loro pertinenza (come dicono gli inglesi, curiosity killed the cat) e così facendo si espongono a rischi indicibili entrando in contatto con esseri, dei, mostri, entità provenienti da altrove che non hanno nessuna intenzione di venire in pace, anzi cercano costantemente di schiavizzare gli umani.

Nella mente di Lovecraft c’era un intero universo ma purtroppo era un universo oscuro, buio come la pece e vuoto di buone intenzioni. Lo scrittore di Providence ci ha trasmesso una parte infinitesimale delle sue paure a cui tuttavia si aggrappava per resistere all’incombere del vuoto cosmico.

La paura, l’orrore rende l’uomo cieco ma lo salva dalla coscienza cristallina della verità terribile che lo circonda.

Meglio avere paura e chiudere gli occhi per non vedere la verità ed evitare così una follia interminabile.

Vi basti pensare che sul trono siede Azatoth, che regna sull’universo, ma che dell’imperatore ha solo il titolo perchè il suo modo di regnare è alquanto singolare:  egli è cieco e stupido e questo è quanto (questo dio gioca veramente a dadi, perché altro non può).

H. P. Lovecraft ci ha lasciati oramai da molti anni, ma la sua visione, la sua poetica sono sempre presenti, tanto più presenti quanto più noi uomini ci affacciamo alle profondità dello spazio.

Tag: Last modified: Marzo 15, 2024
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