Scritto da 1:21 pm Pisa SC

Fenomenologia di un amore chiamato Pisa

PISA – Torna con la sua rubrica “Pallone di-pendente” la nostra Chicca che descrive la bella trasferta a Genova dopo la chiusura del calciomercato.


Tifare per il Pisa. Provo a spiegare cosa significa tifare per una squadra piccola.

No, non piccola come immaginate, quelle che alternano un’ottima serie B e una salvezza in Serie A, qualche volta finiscono a metà classifica, ma sempre alle porte dell’impero.

Piccola che quando ti chiedono “per che squadra tieni?”, tu rispondi “Pisa” e loro ricominciano “sì ma in Serie A per che squadra?” e tu non ce l’hai una squadra di Serie A, non parteggi per nessuna oltre la tua, ma non ci credono. La sostieni a costo di non vincere mai, e di vivere male. Al richiamo del disamore non abbiamo mai ceduto, perché quando tifi per una squadra così, per cui quasi devi giustificarti, tifi per un’idea, ne fai un valore.

Tifi anche senza conoscere i nomi di qualche giocatore, perché è importante quello che riescono a fare, non come si chiamano. Pisa è casa mia: intendo l’Arena, la squadra, prima di tutto il resto. Il posto dove sono entrata da bambina, diventata ragazza e uscita adulta.

Sabato a Marassi per assistere a Genoa-Pisa (0-0) c’è stato lo sbarco di 5000 innamorati neroazzurri. Genova per loro. Non c’è tornaconto in una massa di questa portata che si è dichiarata senza sapere cosa l’aspettava. Zero calcolo. Soltanto (si fa per dire) amore. Che non si decifra e non si rende comprensibile ai distaccati. Si vive, oppure no. E se sì, è privo di condizioni.

Il pallone, e soprattutto la passione che muove i suoi tifosi, contempla dinamiche ben lontane dall’essere definitivamente esplorate. “Il calcio è l’ultima rappresentazione sacra del nostro tempo”, chiosava Pier Paolo Pasolini.

Ecco, si badi bene, è proprio la parte sacra che si vuole prendere in considerazione, chè di eventi profani e delittuosi le cronache calcistiche ne sono fin troppo piene. Sono la faccia più inflazionata e chiacchierata del pallone, quella più sporca e più insana. La parte vera, quella pura e nobile, è intramontabile. Si può chiamare in mille modi: tifo, passione, fede, amore.

Sono le emozioni quelle che contano. E quelle che restano. Nonostante tutto. Il tifo oltre l’ostacolo che non si ferma davanti a nulla. Immortale, infinito, irrazionale, insensibile al dubbio e all’incertezza. Il tifo, quello vero, è così. Lo trovi negli occhi di un bambino che esulta, nelle lacrime di una delusione, nel pallone che sfonda la rete e fa gonfiare il cuore.

A Genova lo hai trovato anche nella nota del professore che lamentava incredulo che l’alunno non poteva recuperare l’insufficienza nella sua materia perché sabato il ragazzo non sarebbe andato a scuola ma appunto a Marassi e nella partita vissuta dai 5000 mescolati ai genoani.

Inarrestabile, perché come disse lo scrittore e poeta argentino Jorge Luis Borges: “ogni volta che un bambino prende a calci qualcosa per la strada, lì ricomincia la storia del calcio”.

P.S.: arbitro Volpi da parte di Alberto Sordi, “Te c’hanno mai mannato a quer paese? Sapessi quanta gente che ce sta’…”

Last modified: Febbraio 1, 2023
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