I giochi su computer hanno fatto molta strada, tant’è che da un semplice ammasso di pixel sullo schermo (i più maturi non possono non ricordare “Pong”, il primo videogioco), stanno diventando sempre più coinvolgenti, e come si usa dire oggi “immersivi”. Ma cosa è che li rende – appunto – immersivi?
Tutti parlano di immersività, ma cosa è?
Più che di immersione forse sarebbe il caso di parlare di coinvolgimento, che è quella qualità che ti prende quando stai facendo un’attività – qualsiasi essa sia – e vuoi che continui. Dove ogni tuo senso viene portato a tuffarti dentro quel qualcosa, tanto che ne percepisci un legame, come se fosse un flusso, un ritmo che ci unisce.
E questo non avviene solo davanti – o dentro – a un videogioco. Avviene con un film, con un libro: insomma, con tutto quello che ci riesce a coinvolgere, ovvero, ci porta dentro di sé. E raramente ci fermiamo a considerare che cosa significhi questa sensazione così piacevole e rara, soprattutto in un mondo moderno che è fatto di stimoli continui e che elogia il multitasking.
Questo universo che si viene a creare è fatto di immagini, colori, effetti di luce, ma anche di suoni e musica. È fatto di un’atmosfera, che come nel migliore storytelling, ci riporta alla nostra fantasia e stimola la nostra immaginazione. Il gioco Crazy Time, per esempio, nella sua elegante semplicità, ci riporta alle emozioni semplici ma intense della ruota della fortuna dei primi casinò, che girava in modo ipnotico per distribuire i suoi premi – e che lo continua a fare ancora oggi in questa versione in streaming digitale.
Giochi che hanno un’anima
È proprio questa la differenza: un buon gioco – di quelli immersivi – non ha bisogno solo di una grande produzione che lo corredi di grafica sofisticata ed effetti speciali, ma ha bisogno di un’anima che si riesce a trasmettere e a percepire. E passa attraverso la profondità dei personaggi, lo svolgimento della storyline, e si sublima nell’accompagnamento musicale. Per esempio, proviamo a pensare alla saga di un gioco iconico come Skyrim. Pur essendo stato pubblicato per la prima volta oltre dieci anni fa (tre ere geologiche nel campo dei videogiochi) continua a piacere, e a vendere, anche nella sua versione originale, ormai remasterizzata e aggiornata. E ancora oggi, la sua colonna sonora indimenticabile, firmata da Jeremy Soule, continua a macinare milioni di views su YouTube, con fan che ancora oggi lasciano commenti pieni di affetto e di nostalgia per questa vera e propria saga fantasy, che ormai è diventata una franchise a tutto tondo.
L’immersività del gioco, aldilà dei mezzi tecnici – buoni ma non strabilianti dell’epoca – andava al grado di coinvolgimento del giocatore che giungeva ad avvicinarsi al suo personaggio quasi ad immergersi in esso. Ed è questo sentimento che, aldilà dei gimmick tecnici, misura davvero la grandezza di un videogioco – o di una qualsiasi altra esperienza umana. Ovvero, dello scambio che otteniamo fra il tempo passato e il piacere ricevuto, dove una parte di te è diventata parte di un qualcosa di più grande: il mondo segreto che racconta i tuoi sogni.