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Intervista a Luigi Pruneti: la vita di Milarepa, come cercare e trovare il percorso per l’evoluzione personale

PISA — Abbiamo intervistato il saggista e scrittore Luigi Pruneti a proposito del film “Milarepa” in uscita il 19 giugno a livello nazionale; Pruneti terrà una conferenza sui vari significati proposti dal film alla fine della proiezione del 20 giugno al cinema Odeon.

di Leonardo Miraglia

Quale messaggio trasmette la storia di Milarepa e in che modo il suo cammino rappresenta un’evoluzione personale?

Nella narrazione si racconta un percorso che prende avvio da un dramma familiare e personale, è una situazione apparentemente senza via d’uscita, probabilmente la condizione più buia in cui una persona possa trovarsi nella vita. All’inizio, il protagonista, Mila, spinto dal dolore, cerca vendetta. Intraprende quindi un cammino in cui apprende tecniche e conoscenze che lo aiutano a perseguire il suo scopo e, in effetti, ottiene ciò che si era prefissato: l’eliminazione dei parenti che avevano tradito lui e la sua famiglia. Tuttavia, questo percorso lo porta a diventare un soggetto privo di luce. La vendetta, infatti, genera sofferenza interiore e squilibrio. A un certo punto, proprio attraverso questa afflizione, Mila sente il bisogno di ristabilire l’armonia del karma e cerca di risalire il baratro nel quale era caduto. Dopo numerose prove e difficoltà, finalmente riesce a rivedere la luce. Capisce chi è veramente e comprende quale sia il suo compito su questa terra. Quello che compie è, a tutti gli effetti, un percorso iniziatico: l’essere umano che ha perso i suoi valori fondamentali, affrontando un cammino di consapevolezza, riesce infine a elevarsi. Con la vendetta non si ottiene niente, è male che genera male, è la staticità delle tenebre; solo un percorso positivo di crescita interiore e di conoscenza del sé permette un’evoluzione umana e spirituale“.

Qual è il contesto storico e spirituale in cui si inserisce la figura di Milarepa, e quale ruolo ha avuto il suo maestro Marpa nel suo percorso di trasformazione?

La figura di Milarepa emerge da un contesto storico e antropologico tibetano. Siamo in un periodo compreso fra l’XI e il XII secolo, è un’epoca di transizione durante la quale il buddhismo, penetrato già nel vasto altipiano himalaiano si fonde col  Bön, l’antica religione autoctona. Questo processo di integrazione porterà alla nascita di una nuova scuola buddhista, che ebbe in Marpa, il maestro di Milarepa, uno dei massimi esponenti. Marpa, “il traduttore” è un personaggio centrale nella tradizione buddhista tibetana. Come Milarepa, anche lui ha vissuto una fase oscura, segnata da difficoltà relazionali e di sofferenze, ma col tempo riesce a trasformarsi, a evolversi interiormente e a diventare un maestro spirituale. La scuola da lui fondata esiste ancora oggi e rappresenta un pilastro importante del buddhismo tibetano. Milarepa, nel suo percorso, si avvicina agli insegnamenti di Marpa per apprendere dottrine e tecniche avanzate, di tradizione mahayana; abbandona le pulsioni vendicative, decostruenti e distopiche e mira a liberarsi dal deserto interiore, frutto delle sue precedenti azioni. Sono proprio il dolore, la sofferenza, la comprensione del male commesso a spingerlo verso un cammino diverso che lo porterà a trasformarsi spiritualmente e a superare i propri conflitti interiori

Qual è il valore del silenzio e dell’ascolto nella nostra società, e cosa abbiamo perso rispetto al passato?

Il silenzio è un bene raro, posseduto da pochi. È una condizione che ti permette di esplorare te stesso, di scendere in profondità, di ascoltare le voci flebili del sé e dell’altro da sé. Il silenzio è l’iter verso la profondità dell’Essere che consente di comprendere, di vedere lontano, di cogliere la complessità, di attraversare la soglia del contingente, di cogliere quell’ombra che alberga in ciascuno di noi. Oggi abbiamo perso la capacità di ascoltare. Non riusciamo più ad andare oltre una certa soglia di attenzione, non siamo capaci di comprendere davvero chi abbiamo di fronte. Un tempo i saggi erano considerati degli uditori sociali: figure che ascoltavano profondamente gli altri e la realtà che li circondava. Ma oggi, come abbiamo detto, quei saggi non ci sono più. Abbiamo perso la facoltà dell’ascolto. Parliamo continuamente, ma non ascoltiamo mai e questo ci impedisce di vedere al di là del nostro naso, di aprirci agli altri e al futuro. Chi costruiva una cattedrale, in passato, lo faceva sapendo che non l’avrebbe mai vista completata. Eppure, edificava per le generazioni future. Oggi invece viviamo in una società che parla tanto ma guarda poco avanti: non investiamo più sul lungo termine, non pensiamo a chi verrà dopo di noi. Costruiamo solo per l’immediato. Questo atteggiamento è miope e non lascia nulla a chi ci seguirà“.

Perché la pazienza è fondamentale in un percorso di crescita interiore e di conoscenza di sé?

La pazienza è fondamentale, perché non si può sperare in una vera trasformazione interiore senza essere disposti ad attendere tempi lunghi. Un atleta è un uomo o una donna con caratteristiche fisiche, psicologiche e mentali atte a farlo emergere in una particolare disciplina, ma se non si impegna moltissimo negli allenamenti, non vincerà mai una gara. Così è per un itinerario spirituale, alla volontà e a un’eventuale illuminazione devono seguire lunghi periodi di studio, di riflessione, di meditazione. Un celebre aforisma d’estrazione buddhista chiarisce molto bene il valore della pazienza. Si narra che un allievo, desideroso di vedere risultati immediati dai suoi studi, chiese al maestro come potesse capire se ciò che stava facendo fosse davvero utile. Studiava e studiava, ma non vedeva cambiamenti. Il maestro, allora, gli consegnò un colino e gli disse di andare a prendere dell’acqua. L’allievo, pur ritenendo l’ordine insensato, non poteva rifiutarsi. Così obbedì e ripeté il gesto decine, centinaia di volte: correva a prendere l’acqua, ma ogni volta il colino tornava vuoto. Alla fine, sfinito, tornò dal maestro e gli disse: “Maestro, continuo a fare ciò che mi hai chiesto, ma non succede nulla!” Il maestro gli rispose: “Invece qualcosa è successo. Guarda il colino: com’è pulito adesso, rispetto a prima, così la lettura e lo studio hanno nettato il tuo spirito che ora è pronto per l’ascesi. Ecco, studiare, leggere, ripetere, riflettere — anche se non ci sembrano immediatamente efficaci — hanno questo scopo: ripulire noi stessi. Ripulire la mente, rendere più limpida la nostra capacità di comprendere, fino a raggiungere una vera saggezza; questa saggezza conduce alla consapevolezza: conoscere sé stessi, conoscere gli altri, comprendere perché siamo al mondo e quale sia il nostro compito su questa terra“.

La storia di Milarepa può indicare una via per superare momenti di crisi e disperazione?

Sì, assolutamente sì. La storia di Milarepa indica una via per uscire dalle tempeste della vita. Quando tutto sembra in bilico, quando ogni cosa pare destinata al fallimento, quando sembra non esserci più un domani, la sua vicenda ci mostra che una strada esiste, basta cercarla. Milarepa, infatti, a un certo punto della sua esistenza trova una via. Una via che sceglie consapevolmente, che percorre con fatica, ma che alla fine lo salva. Questo cammino lo porta non solo a redimersi, ma addirittura a diventare un maestro spirituale, con ventuno discepoli e a fondare una scuola che esiste ancora oggi. Il suo esempio ci offre una chiave di lettura: anche nei momenti più difficili, come quelli che viviamo, quando sembra che non ci sia più alcuna via d’uscita, la strada c’è. Esiste sempre una possibilità. Bisogna solo andare avanti, cercare di comprendere il senso di ciò che è accaduto, imparare la lezione, e capire qual è il percorso migliore per uscirne. È proprio questo desiderio di trovare una luce in fondo al buio che ci può salvare“.

Last modified: Giugno 19, 2025
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